La Resurrezione da vedere nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena

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La Maestà, un’opera cardine della storia dell’arte italiana

In questo articolo si parlerà brevemente della Resurrezione che si può vedere nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena. Quando si visita questa importante istituzione della città del Palio non si può non rimanere in raccoglimento davanti a quella che è una delle opere cardine in tutta la storia dell’arte italiana: la Maestà dipinta dal pittore senese Duccio di Buoninsegna. Realizzata tra il 1308 e il 1311, l’opera fu destinata all’altare maggiore del Duomo di Siena; in virtù del fatto che il nuovo coro della Cattedrale – portato a termine alcuni decenni prima – aveva una larghezza notevole, il dipinto realizzato da Duccio per essere la nuova pala d’altare della chiesa doveva essere adeguato a decorare quell’imponente spazio. Ecco quindi che la grande ‘macchina’ portata a compimento nel 1311 misurava tre metri in altezza e ben oltre quattro metri di larghezza e questo la rendeva all’epoca la più grande pala d’altare fino ad allora mai realizzata.

Un’altra peculiarità del grande dipinto è che si trattava di un’opera opistografa, vale a dire, dipinta su entrambi i lati per poter essere vista sia dai membri del clero nella zona dietro l’altare, e sia dai fedeli lungo la navata della chiesa (ricerche recenti sembrano comunque avvalorare l’ipotesi che ).

I due lati del dipinto

Sul lato frontale – l’unico visibile da parte dei fedeli – ciò che si vedeva era la monumentale immagine della Vergine in trono, affiancata da angeli e santi, tra cui un posto di rilievo lo hanno i protettori di Siena: Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore. Quello che invece si vedeva sul retro della Maestà – spazio accessibile solo ai membri del Clero – era la serie di pannelli con le Storie di Cristo, la cui rappresentazione sul retro era probabilmente legata alla presenza di un tabernacolo per la conservazione delle ostie¹

Sebbene oggi non ci sia più modo di apprezzare questa grande macchina d’altare nella sua organicità poiché smembrata, c’è comunque la possibilità di apprezzare la raffinatezza d’esecuzione delle Storie da parte di Duccio e della sua bottega. Oltre ad una studiata disposizione dei personaggi nello spazio, si può affermare senza ombra di dubbio che una delle doti del pittore fu la sua abilità nel conferire una qualità ‘didattica’ agli episodi del Vangelo rappresentati. Alla monumentalità delle figure – un aspetto che gli venne dall’osservazione della maniera bizantina rielaborata nella pittura di Giunta Pisano prima e di Coppo di Marcovaldo poi –, il pittore aggiunge nelle Storie di Cristo senesi brani di ‘naturalismo’ più vicini alla tradizione gotica d’oltralpe, come si può vedere nella rappresentazione dei tipi arborei, delle architetture urbane o nelle composizioni affollate: ne è un esempio l’Entrata di Cristo a Gerusalemme.

La Resurrezione del Museo dell’Opera

In altri casi è invece la potenza evocativa di alcune figure a restituire il senso dell’episodio dipinto, come appunto nel pannello della Resurrezione che si può vedere nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena. Qui ci troviamo di fronte a quel genere di rappresentazione che la tradizione iconografica medievale aveva codificato mediante un’immagine dal linguaggio indiretto. La figura del Cristo risorto non è visibile, ma l’evento prodigioso è intuibile tramite ciò che dell’azione è rimasto: un sepolcro vuoto, una striscia di lenzuolo e un angelo-sentinella che annuncia alle pie donne che Gesù non è lì. Un’analoga ‘assenza’ è possibile ritrovarla, a quella data, anche in altri importanti episodi cristologici; pensiamo all’Ascensione di Cristo che, prima del Trecento, veniva rappresentata con la sola immagine dei piedi del Redentore, mentre il resto del suo corpo si trovava già al di sopra delle nubi del cielo.

Come scrive lo storico dell’arte Salvatore Settis², il modo in cui il pittore senese decise di descrivere la scena della Resurrezione nella Maestà era perfettamente in linea con la tradizione precedente e la rappresentazione umana di Cristo risorto che esce fisicamente dal sepolcro non la si trova prima del XIII secolo

Resurrezione, armilla, 1170-1180, Musée du Louvre, Parigi

Un’eccezione alla regola

La tesi di Settis ha ancora una sua completa validità, se si escludono rare eccezioni: è il caso ad esempio di una Resurrezione rappresentata su una armilla, un bracciale da cerimoniale conservato al Musée du Louvre. Il prezioso manufatto è datato tra il 1170 e il 1180 ed è ascrivibile alla produzione orafa di area renana. Il bracciale vede la raffigurazione del Cristo risorto che esce dal suo sarcofago tenendo nella mano destra il sudario come a mostrarne la sua ormai completa inutilità, mentre nella sinistra regge una croce astile. L’opera rivela una grande padronanza tecnica nell’arte dello smalto champlevé da parte degli artisti reno-mosani, come si può ben intuire dalla gamma di colori estremamente raffinata.

C’è inoltre modo di apprezzare in questo manufatto l’alto grado di virtuosismo raggiunto nell’esecuzione di alcuni dettagli, visibile ad esempio nelle finissime linee sbalzate della cotta dei soldati dormienti ai piedi del sepolcro. Grazie ai tratteggi che emergono dalla campitura dello smalto, sull’opera si può apprezzare un effetto di impressionante realismo. Queste peculiarità, assieme alla resa solenne della figura di Cristo che esce dal sepolcro, sono quegli elementi di grande rilievo che rendono l’armilla del Louvre uno degli manufatti dell’arte mosana più belli che siano mai stati realizzati.2

Deposizione di Cristo, Dietisalvi di Speme, Cripta Duomo di Siena

Le suggestioni ‘prospettiche’ del dipinto duccesco

Ritornando alla Resurrezione che si può vedere nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena, se da una parte Duccio riprende dunque un modello bizantino ormai affermato nell’area centro-italiana quando rappresenta l’angelo e le pie donne al sepolcro, nella sua Resurrezione non mancano elementi di novità. prendiamo ad esempio la forma cubica del sepolcro che può dirsi tridimensionale e, quindi, un oggetto che fornisce delle coordinate spaziali. È probabile che, per questa soluzione tecnica, il pittore abbia tratto spunto – seppur aggiornandolo – sia dal ciclo con le Storie della Passione dipinte alcuni decenni prima negli ambienti sotto il Duomo di Siena (riscoperti solo quindici anni fa e comunemente denominato come spazio della “Cripta”) e sia nel ciclo delle Storie di Cristo dipinto nella Basilica superiore di Assisi. Il punto di raffronto più interessante con le scene assisiati è individuabile nel cubo-pozzo nelle scene di Giuseppe l’Ebreo. E’ certamente curioso che, per molto tempo, proprio le scene in questione siano state ritenute opera del giovane Duccio che, trovandosi ad Assisi al seguito del suo maestro Cimabue, sarebbe subentrato a quest’ultimo nel momento in cui il pittore fiorentino lasciò la città umbra.

Molte altre storie da raccontare

A giudicare da quanto si è detto finora, la Maestà di Duccio è un’opera di grande interesse non solo per ciò che essa rappresenta dal punto di vista tipologico per la storia dell’arte italiana, ma anche per le non trascurabili novità stilistiche e compositive che si possono ritrovare nelle figurazioni di piccolo formato. La Resurrezione che si può vedere nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena è, ancora una volta, una testimonianza delle numerose suggestioni e stimoli di cui i pittori potevano risentire a quell’epoca. In questa sede mi sono soffermato ad osservare solamente uno dei tanti pannelli che compongono la grande tavola senese: molte altre storie attendono ancora di essere raccontate.


Bibliografia

1: A.Bagnoli, R.Bartalini, L.Bellosi, M.Laclotte, Duccio Alle origini della pittura senese, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2003, p.210.

2: S.Settis; Iconografia dell’arte italiana 1100-1500: una linea; coll.  Piccola Biblioteca Einaudi; Torino 2005; pp.120-121

3: M.Barbier, Armilla: La Résurrection du Christ, Sito internet del Musée du Louvre, Département des Objets d’art : Moyen Age, consultato in data 01/12/2019